mercoledì 5 ottobre 2022

 



N. 5



Gli psicoanalisti e tutti gli studiosi di psicologia hanno cercato di disegnare la mappa della mente e della personalità. È stato da subito chiaro che non siamo un tutt’uno, ma comunque ci disegniamo, dobbiamo delimitare delle parti, dei sottoinsiemi di noi, degli alter ego che a volte non si conoscono tra loro, altre invece cercano di comunicare l’uno con l’altro, altre litigano apertamente entrando in conflitto e creando dei blocchi o delle alternanze imbarazzanti. Freud parlava di un tale Super Io che entrava in conflitto con l’Es e di un gran daffare dell’Io per tenerli a bada entrambe al fine di adattarsi alla realtà. Anche Jung faceva riferimento alle parti e Berne disegnava dei cerchi che rappresentavano i 3 stati dell’Io: Genitore, Bambino e Adulto che avrebbero dovuto dialogare affettuosamente tra loro, invece di dedicarsi a giochi tossici, come invece accadeva di solito.

Quando ero ragazza intuivo di non essere una e avrei voluto nominare ognuna di me in un modo diverso. Oggi userei il cambio di cappello per rendere riconoscibile agli altri quale me si sta esprimendo. Su Netflix e su altri canali internet si possono trovare film, documentari e testimonianze di persone che hanno personalità multiple con diagnosi di disturbo dissociativo della personalità (DID). Per star bene è necessario che queste parti della personalità siano quanto più integrate possibile, che  sia la Parte Dominante Adulta abbia consapevolezza dell’esistenza delle altre parti e che si crei tra loro una certa armonia. Il malessere spesso è dato dall’incompatibilità tra le parti, come quei matrimoni che vanno in crisi per la cosiddetta "incompatibilità di carattere". Eppure, nel linguaggio corrente siamo abituati a definire la persona come “Una” e nella pratica a non sapere cosa farcene delle nostre contraddizioni, provando diffidenza, senso di colpa, autocritica.

Un adulto che vive un grande trauma, ne incamera il ricordo in posti diversi del sistema nervoso che innesta tutto corpo. L’accaduto si frammenta in moltissime forme: in esperienza visiva, in esperienza tattile, in esperienza emotiva, in esperienza gastrointestinale, respiratoria, cardiaca, motoria, uditiva, cognitiva, ecc. ecc. . Il ricordo viene fatto a pezzi e archiviato in luoghi diversi del cervello e del corpo. Mi ha colpito molto quell’esperimento in cui si chiedeva ad un adulto di raccontare il giorno più bello della sua vita. Detto fatto, le cose si susseguivano secondo un ordine temporale, ciò che è accaduto prima e via via ciò che è accaduto dopo sino alla conclusione: il giorno del matrimonio, il giorno della laurea, un viaggio speciale. Alla stessa persona (selezionata perché nella sua vita era stata vittima di una tragedia, di uno shock, di una violenza) si chiedeva di raccontare il giorno più brutto della sua vita. E qui arriva il difficile! C’è un po’ di disordine nella memoria degli eventi, cosa è accaduto prima e cosa dopo? Non c’è certezza. Flash, immagini che si sovrappongono come fotografie sparse in un cassetto, sensazioni strane e incomprensibili… buchi di memoria.

Il sistema nervoso ci protegge dal ricordo del trauma rendendone difficile l’accesso, non si parla di una vera e propria amnesia, ma di difficoltà mnestiche che complicano il recupero e la comprensione delle informazioni. In caso di brutti eventi difficili da sopportare e che potrebbero mettere a rischio la nostra sopravvivenza fisica e psicologica, possiamo contare su saracinesche automatizzate, a volte a tenuta stagna e insonorizzate, altre volte che lasciano passare suoni, oppure filtrano la luce, altre ancora hanno spiragli o finestre da cui si possono intravedere parti di ciò che contengono. Noi restiamo tra una saracinesca e l’altra a vivere quel che resta del mondo, mentre dai nostri aldilà ci arrivano dei segnali che spesso non sappiamo interpretare.

Questo accade agli adulti, che hanno un emisfero destro maturo specializzato nella codifica delle informazioni, grande analizzatore di dati, elaboratore di un linguaggio verbale universale, inventore del tempo; accade agli adulti, i quali conservano nell’area della memoria verbale i punti salienti della loro vita vissuta e da questi traggono importanti indicazioni per la conoscenza di Sé stessi. Eppure, gli stessi adulti smarriscono nell’emisfero destro tracce importantissime di emozioni e immagini senza tempo, che si ripresentano nei sogni, nelle poesie, nei movimenti della danza o nelle note di una musica, nel gioco e in qualunque altra forma d’arte. Pur avendo l’emisfero sinistro perfettamente funzionante, alcune informazioni restano incastrate nell’inconscio dell’emisfero destro e pronte a svelarsi in modo criptico nei test proiettivi, nelle libere associazioni, nei sogni notturni.

L’emisfero destro è un po’ una soffitta piena di oggetti melanconici, carichi di significato, ma completamente dimenticati.

E i bambini? E i bambini che hanno un emisfero sinistro immaturo che fanno? Cosa accade quando vivono dei traumi, quando già prima dei sette anni fanno fatica a ricordare le cose accadute, anche le più importanti? Che succede ad un bambino che vive stati di abbandono o trascuratezza, che assiste ad atti di brutalità o li subisce, che sperimenta un trattamento violento o umiliante a scopi educati?

Il bambino rimane cristallizzato in quell’attimo, immortalato all’età posseduta al momento del trauma. Se neonato, neonato resta, segregato dietro una saracinesca, se treenne, treenne continua ad essere e a provare paura dietro un’altra saracinesca. Freud diceva che la persona si “fissa” in una fase dello sviluppo, quella antecedente il momento del trauma. E a crescere e a diventare grande secondo Winnicott sarebbe invece un Falso Sé. La Fisher dice che il bambino tra le saracinesche cresce, mentre piccoli sé vengono sequestrati e tenuti segreti dietro le saracinesche, come la bella addormentata nel bosco che nel suo sonno incantato non può invecchiare. Come matriosche piccoline quelle parti restano all’interno in un sempiterno tormento mentre il Sé della vita che va avanti impara come può a fare del suo meglio. E lo fa in modo autentico e genuino, portando inconsapevolmente il carico dei traumi passati. E siccome ognuno di noi è sopravvissuto a diverse esperienze traumatiche, è possibile che conteniamo nella nostra personalità altrettante parti piccole di età diverse, che hanno quindi modi di parlare diversi a seconda della loro età, modi di pensare e di comportarsi diversi e bisogni ed emozioni tipici del loro livello di sviluppo. Mentre il Sé della vita di oggi ha l’età anagrafica come da certificato di nascita.

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