giovedì 29 settembre 2022

 





N. 4 Piccoli traumi quotidiani.

Ieri al lago ho visto due bambini piccolissimi mano nella mano, con i loro costumini e  cappellini in testa. Due bambini di appena tre anni che parlavano tra loro mentre alcuni adulti li seguivano ad una certa distanza. Erano bellissimi, così piccoli e nello stesso tempo così seri, presi da una improbabile conversazione, impegnati nel camminare e nel guardarsi. Saranno stati alti 40 cm, paffuti, dolci e teneri…non ho potuto fare a meno di pensare come sarebbe stato facile traumatizzarli.

Avete mai visto un bambino di tre anni che assiste ad una brutta lite tra adulti oppure che viene sgridato violentemente dal genitore?  Avete notato il suo corpo immobilizzarsi, gli occhi sbarrati, il petto scosso dai battiti del cuore accelerati? Avete visto la sua espressione confusa e spaventata? Se lo avete visto così come io ve lo descrivo vuol dire che quel bambino non è avvezzo a cose simili. Un altro bambino nella stessa situazione resta apparentemente tranquillo fissando un punto sospeso nel vuoto, la sua espressione può sembrare indifferente, quando invece non reagisce con una certa agitazione motoria che viene scambiata per vivacità. Quest’altro bambino potrebbe essere abituato ad essere coinvolto in scene violente. Ma anche per lui c’è stata una prima volta in cui, colto di sorpresa, è rimasto congelato, piccolo essere umano in un mondo di giganti violenti. Quando un bambino ha paura corre dai genitori per ricevere protezione. Così fanno anche i cuccioli di altre specie mammifere. La natura ci ha dotato di due istinti fondamentali, quello di esplorazione che porta i cuccioli ad allontanarsi sempre di più dal genitore per andare a conoscere l’ambiente intorno, e quello di attaccamento che consente loro di tornare alla tana per assicurarsi protezione e nutrimento. I pericoli dovrebbero essere nell’ambiente esterno, dove ci si deve muovere con cautela ed essere pronti a difendersi o a fuggire. In casa propria si dovrebbe poter dormire, chiudere gli occhi e rilassarsi. Il mio gatto si mette a zampe all’aria mostrando la pancia sicuro che al massimo si becca qualche grattatina. Un bambino con attaccamento sicuro è forte e tranquillo quando esplora perché ha sperimentato la sicurezza e l’amore in casa.

I bambini traumatizzati hanno un attaccamento insicuro. Non possono rilassarsi a casa propria, temono le reazioni dei loro genitori, si sentono in pericolo in qualsiasi momento, rischiano botte, insulti e nella peggiore delle ipotesi l’abbandono. Sì, perché botte, sgridate, umiliazioni e trascuratezza sono preferibili al peggio: restare soli senza mamma e senza papà.

Riflettevo sul senso di vuoto che i bambini traumatizzati sentono dentro sé stessi. Un vuoto che da adulti vorrebbero riempire in qualsiasi modo e che genera un malessere insopportabile. L’invisibilità è l’incubo dei bambini, Scola nel film La famiglia descrive la disperazione del bambino che crede di essere diventato invisibile a tutti. Non esistere per nessuno, non essere nella mente degli adulti di riferimento, avere conferma di non essere pensato, immaginato, intuito né percepito è per il bambino come essere diventato invisibile. Il vuoto è fuori, come perdersi nel deserto, sentire il silenzio assordante e l’angoscia crescente che ti attanaglia. Il vuoto è ciò che si rispecchia nell’animo quando si è invisibili alle persone che contano. Io non esisto se non vengo percepito e non ricevo riscontro da nessuno…di contro vedo alberi di castagno ed erba frusciante al vento, uccelli volare nel cielo e insetti sulla terra, grappoli di frutta e odori di fiori e di rovi secchi o di umidità all’alba…la natura acquieta l’ansia di un mondo privo di vita dentro un appartamento cittadino in cui non c’è altro da fare che guardare un monitor. Il vuoto è una sensazione che si imprime nel corpo di un bambino, traumatizzato dall’essere invisibile o dall’essere scambiato per un altro bambino, cioè per quello che è nella mente dei suoi genitori e che è ben diverso da lui, uno che porta il suo stesso nome e le sue stesse fattezze. Se lui vuole mangiare invece il bambino amato magari è sazio e lo fanno riposare, se lui ha bisogno di coccole, invece l’altro preferito a lui viene portato a fare sport con entusiasmo, se lui è triste o ha paura, l’altro viene apprezzato per la sua buona educazione, perché sa stare al suo posto senza lamentarsi. Questa solitudine e questo tradimento posso riflettere un vuoto che un giorno qualcuno diagnosticherà come il sintomo distintivo del borderline.

I due bambini di tre anni sul prato del lago sono spariti alla mia vista lasciandomi un sorriso sul viso e il ricordo di quelle manine l’una nell’altra. Nella mia mente invece si sovrappongono figure di bambini di svariate età impauriti. Bambini che affrontano la solitudine. Bambini che temono il rientro dei loro genitori e nello stesso tempo temono che non ritornino mai più. Bambini che fanno fatica a tirare avanti. Bambini che però si abbottonano il grembiule di scuola, un bottone dopo l’altro dentro le asole, con perizia, mettendoci tutta l’attenzione possibile, la massima concentrazione. Bambini che corrono verso il campo di calcio dando l’anima per un passaggio azzeccato e un goal. Bambine che saltano la corda o giocano all’estatico ridendo. Alzano la mano all’interrogazione oppure copiano sotto il banco. Il dolore che li assale a casa non c’è, passato, non esiste la paura, non esiste l’umiliazione e neanche il vuoto. Il cervello ha creato un compartimento stagno in cui mettere le cose brutte, quello che resta è la Vita che va avanti e la possibilità di essere felici.

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