giovedì 26 gennaio 2023

 

n.10   uno nessuno centomila 


Emil Nolde, Maschere (1911)


A volte ci piacciamo molto, quando ci sentiamo calmi, per esempio e abbiamo buone capacità di ascolto, quando siamo brillanti nella conversazione o siamo concentrati su quello che facciamo, quando ci sentiamo creativi, pieni di inventiva e con una buona sicurezza in noi stessi. Vorremmo descriverci così a quelli che non ci hanno ancora conosciuto. Ci piacerebbe dare questa bella immagine di noi stessi. Ma facendo un rapido inventario delle diverse situazioni in cui ci siamo trovati, volendo essere completamente onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere che in certe occasioni siamo stati veramente un disastro! A volte siamo così infuriati da non sapere neanche cosa stiamo blaterando e subito dopo possiamo pentircene amaramente. Una mia amica è nota a tutti per la sua gentilezza. Un modello di garbo e di altruismo. Eppure, in certe situazioni le ho visto perdere il controllo ed esprimersi come uno scaricatore di porto, diceva mia nonna. Riparlandone con lei, mi confidava di non essere per niente soddisfatta di aver avuto quella reazione, e che a freddo avrebbe manifestato la propria rabbia ed espresso le proprie ragioni in tutt’altro modo.

Sono sicura che tutti avremmo aneddoti di questo genere da raccontare: “a casa ho il magone, sono scontrosa e irascibile. Non una buona parola per nessuno. Appena fuori dal portone di casa incontro i vicini e li saluto con il mio più sfavillante sorriso. Sono nota per essere una persona veramente cordiale, rassicurante, sempre allegra…” Mi raccontava un’altra amica. “Sono un’ipocrita? No, non mi sento tale. Ma la verità è che in casa sono una persona e fuori di casa sono un’altra. Senza che io lo voglia!” La spiegazione è semplice e sorprendente: uno solo di noi è il Sé adulto, gli altri potrebbero essere le nostre parti piccole.

Nei precedenti articoli ho spiegato come i traumi infantili generano la frammentazione della personalità in parti “piccole”. Queste parti che restano incastrate dentro di noi, prendono il sopravvento in certe situazioni scatenanti. Insieme a loro c’è una parte che cresce e va avanti con la vita normale: il sé della vita di oggi. In seguito, descriverò le parti piccole secondo la teoria proposta da Janina Fisher, che si ispira a sua volta al modello degli Internal family sistem.

Se vogliamo attribuire un’emozione con i corrispondenti comportamenti e pensieri ad una “parte piccola di noi” che si è attivata e ha reagito in un certo modo al posto nostro, dobbiamo imparare a riconoscerla. Le parti sono cosiddette “piccole” sia perché appartengono ad un intero più grande, sia perché hanno la personalità che avevamo noi al momento del trauma, in molto casi quindi quando eravamo piccoli. Mentre il Sé della vita di oggi è in grado di pensare e sentire nello stesso momento, di provare emozioni moderate, che rientrano nella cosiddetta finestra di tolleranza e consentono alla persona di regolarle, le parti piccole sono rigide, hanno dei comportamenti stereotipati ed eccessivi tanto sul versante dell’iperattività che sul versante del blocco e della passività. Gli psicologi la chiamano “disregolazione emotiva” e la descrivono con un grafico in cui i picchi in basso e in alto escono dalle linee superiori e da quelle inferiori invece di restarne all’ interno.



Le parti piccole si comportano come bambini oppure come i nostri parenti animali, perché reagiscono prevalentemente con quelle parte del sistema nervoso, il cervello rettiliano o mammaliano, predominanti nell’infanzia.

Infatti, quando nasciamo siamo più simili ad una bestiolina che ad un essere umano come siamo abituati a prefigurarcelo. Questo paragone non declassa il nostro valore, ma a mio avviso lo rispetta, perché gli attribuisce naturalità, istinti ed emotività che nella nostra razionalità corticale vengono meno.

Alla nascita, benché con requisiti squisitamente umani, dobbiamo tuttavia fare i conti con lo scarso sviluppo del nostro sistema nervoso, che verrà portato a completo compimento nei 20 anni a venire.

Ecco che lo studio dell’etologia ci viene in aiuto per comprendere il senso delle nostre prime esperienze, di quando eravamo piccolissimi, elaborate attraverso un sistema nervoso immaturo e incompiuto, in cui l’anima rettile imperava, il sistema mammaliano si imponeva progressivamente e la corteccia cerebrale si sviluppava con molta calma, anche se a velocità smisurata considerando la lunghezza del tragitto che aveva da compiere. Altre volte, invece, l’etologia ci può far comprendere anche i comportamenti delle persone adulte: quando sono ispirati da modalità infantili (nonché animali).

Siamo come matriosche in cui solo la più esterna ha l’età anagrafica. Le altre al suo interno sono molto più giovani.

Le parti, quindi, possono essere rappresentate come dei bambini o come degli animaletti, cuccioli o adulti di rettile o di mammifero a seconda delle situazioni. Nella personalità frammentata queste parti piccole sono connesse al momento del trauma e si esprimono in un modo che ne è evidentemente influenzato.

La mia amica cortese, quando si scatena una parte adolescente infuriata, si esprime in modo greve e violento, ma può essere paragonata anche ad un gatto che soffia, con il pelo irto e le unghie di fuori. L’altra amica è una bambina sottomessa e infelice in casa, come un cane impaurito, ma fuori ritorna la donna spensierata che va incontro al mondo.

La Fisher menziona 5 parti piccole:

·        la parte Attaccamento

·        la parte Sottomissione

·        la parte Freezing

·        la parte Fuga

·        la parte Attacco

Le prime 3 sono “connesse” al trauma, cioè sono memorie emozionali con tutto un correlato neurofisiologico (battito cardiaco, respirazione, tensione muscolare ecc.) provocato dal trauma. Le ultime due sono parti che difendono le altre e si sviluppano più tardi.

martedì 13 dicembre 2022

 

 N. 9

Incontrare Il Sé che va avanti con la vita normale e le parti piccole del mio cliente.

 




Quando lavoro con i miei clienti e mi raccontano di certi stati d’animo o certi pensieri, mi capita di volgere il mio sguardo in basso sul tappeto. Lo faccio quasi senza rendermene conto…la mia immaginazione spontaneamente, si rivolge a bambini e ragazzini che vedo in atteggiamento sofferente o di difesa: chi accovacciato per terra, chi in cerca di una via di fuga, chi visibilmente scocciato e ostile.

Immagino al fianco del mio cliente adulto i bambini che è stato tanti anni fa, quelli che sono rimasti incagliati nel momento del trauma, bloccati nel loro terrore o nella vergogna bruciante oppure nel tentativo rabbioso di difendersi. Sono loro i bambini che Janina Fisher chiama “parti piccole”. Io assecondo la mia spontanea immaginazione che me li fa vedere proprio davanti a me e stimolo il cliente a fare altrettanto, di usare la sua immaginazione perché questa è un processo fisiologico che coinvolge e attiva molte aree del sistema nervoso. Immagino le parti piccole e creo un contatto empatico con loro nella speranza che così facendo il mio sistema nervoso si connetta con le aree del sistema nervoso del mio cliente che corrispondono a quelle parti piccole, cioè alle sue memorie traumatiche.

Nel parlare, mi rivolgo a loro piuttosto che al cliente adulto seduto difronte a me. Le parti piccole sono sedute in terra, oppure rannicchiate sul divano, o davanti alla porta dello studio pronte a scappare in caso di pericolo. Il loro aspetto dipende dalle storie di vita dei miei clienti, da ciò che loro esprimono con lo sguardo agghiacciato, oppure rabbioso, o timidamente rivolto verso il tappeto. “Lei è una persona adulta e certamente sarà in grado di affrontare la situazione, nello stesso tempo, percepisco una sua parte piccola, che parla attraverso attraverso la sua voce, che è in serie difficoltà”, dico. Allora la cerco nella stanza e mi rivolgo direttamente a lei, con delicatezza e rispetto, come sempre ho voluto fare con i bambini che ho incontrato nella mia vita da adulta.

All’inizio esprimo una mia sensazione: “quello così spaventato secondo me non è lei, ma una sua parte piccola”. Oppure: “vedo che è così arrabbiato, ma secondo me non è davvero lei che si sta arrabbiando in questo modo ma una parte piccola di lei”. Chiedo di attribuire un’età a quella parte…mentre il mio cliente tenta di capire quanti anni abbia, la visualizza nella sua testa, vi entra in contatto e questo fa accadere delle cose che non sono sotto il controllo della razionalità, ma sgorgano dall’inconscio. Si attualizzano delle memorie sotto forma di emozioni e di immagini che riguardano il contesto esterno in cui gli eventi passati sono accaduti… perché questo processo si attui e prenda forma devo aver instaurato un rapporto di fiducia con il cliente.

Prima di iniziare a fare questo lavoro è necessario che io speghi come funziona la terapia centrata sulle parti e cosa ci auguriamo. Quando spiego, il cliente sembra dimenticare il motivo per cui è venuto. Se è arrivato da me depresso o ansioso, per esempio, nell'ascoltare si calma, mi guarda con interesse, la fronte leggermente aggrottata nell'impegno di capire. Questa postura mi comunica che la persona è nel Sé che è andato avanti con la vita normale, che la corteccia prefrontale mediale è attiva, che le emozioni sono placate e il pensiero è lucido.

Quando individuo il Sé che va avanti con la vita normale, lo presento al mio cliente: “Ecco questo è lei!” Mi piace riconoscerlo nel suo pieno potere, capace e adeguato, soddisfatto di quello che fa. “questo è lei! Vede? È in grado di pensare, di decidere, di lasciarsi andare, di portare avanti un progetto, di prendersi cura di qualcuno, ecc. ecc.”

Non è facile distinguere il Sé che va avanti con la vita normale dalle parti.

Ma perché le parti sono così invadenti? Cosa succede? Il sé adulto si fonde e si confonde con la parte. C’è una vera e propria identificazione. Una volta una persona a me cara che era stata appena lasciata dalla moglie mi disse: “Lei è una bambina!”. Io, che ne conoscevo l’età continuavo a ripete “ma che dici? È una persona adulta!”. Avevamo entrambe ragione.

Come avviene questa fusione. E come separare il Sé dalla parte?

Durante le sedute mi capita di percepire i contorni della persona adulta e di conoscerla per quella che è. È bello poterla incontrare, constatarne l’esistenza e vederla nelle sue vere sembianze. Alcuni sono frequentemente nel Sé adulto. Altri quasi mai. I primi ci mettono poco a riconoscersi nel Sé di oggi. Li invito a stare nella loro pelle, a respirare, ad allungare la colonna, a sentire la calma che avvertono e la stabilità. Allora sento che è possibile fare il passo successivo: incontrare le parti piccole.

Il lavoro più complesso e difficile è quando la persona sperimenta la sua vita fusa nelle parti, perché io non riesco a distinguere il suo Sé adulto, ma vedo solo la parte piccola. Potrebbe essere pressappoco come incontrare qualcuno per la prima volta in mezzo alla nebbia, oppure provare a metterne a fuoco il volto senza gli occhiali. Ci può volere molto tempo prima che io riesca a dare delle fattezze al Sé che va avanti nella vita di oggi. Quando accade è una grande emozione. Può succedere quando meno me lo aspetto: il cliente mi racconta, senza farci caso, degli episodi in cui il suo comportamento è stato efficace e adeguato: invece di perdere la calma, si è rivolto al figlio disperato per consolarlo; ha risolto un problema all’amico in difficoltà; ha affrontato con assertività il superiore che stava commettendo un abuso.

È la stessa persona che per giorni ha mostrato solo le sue insicurezze e ha detto di sentirsi incapace a fare tutto. Attraverso il suo racconto ha confermato ciò che Janina sostiene nel manuale: tutti abbiamo un Sé della vita che va avanti. Basta solo cercarlo.

Una volta riconosciuto il Sé della vita di Oggi, è tempo di fargli incontrare le parti piccole.  Di loro vi parlerò nel prossimo articolo.

 

 

 

 

 

giovedì 24 novembre 2022

 

N. 8 il Sé della vita di Oggi in terapia.

Per svariati anni sono stata una cliente, o una paziente come dicono la maggior parte dei miei colleghi psicoterapeuti. Andavo in terapia riponendo molte speranze. Arrivavo con un bagaglio di cose da dire su cui avrei dovuto “lavorare”. Anche se studiavo psicologia, e quindi avrei dovuto sapere che non era così, immaginavo che il mio psicoterapeuta fosse depositario di qualche verità. Lui o lei, a seconda del momento, mi avrebbe guidato fuori dai miei problemi e credevo si sarebbe impegnato moltissimo per sopperire a tutte le mie mancanze attuali e passate, per compensarle e per rendermi idonea alla vita al pari delle persone che conoscevo. Mi accusavo di essere un osso duro, o “di coccio”, come dicono a Roma, la città in cui vivo. Eppure, tutti gli sforzi di quei poveri psicologi non bastavano a cambiarmi.

A volte leggevo nei miei libri di studio che lo psicologo non può sostituirsi ai genitori che furono e che il cliente stesso, non essendo più un bambino, avrebbe dovuto fare tutto il lavoro da Sé. Questa notizia mi avviliva. A volte sentivo parlare di RIGENITORIALIZZAZIONE e allora mi entusiasmavo: Il Genitore interno negativo (Persecutorio o Iperprotettivo, come si dice in Analisi Transazionale), doveva cedere il posto ad un Genitore interno positivo (Normativo e Affettivo). Ma non capivo come si realizzasse tutto ciò, cosa avrei dovuto fare come cliente o come terapeuta.



Avevo ben presente come fosse una madre affettiva e normativa allo stesso tempo, però come trasformare il genitore interno da negativo a positivo restava un mistero.

<<Ha un Super Io persecutorio, rigido…>> mi sembrava di sentire gli psicoanalisti commentare sullo stesso argomento…Winnicott invece mi carezzava l’anima con l’evocazione della madre “sufficientemente” buona che attraverso i suoi piccoli fallimenti e le sue tante riuscite poteva rafforzare il Sé del suo bimbo, e vederlo crescere sereno e sicuro, capace di tollerare le normali frustrazioni della vita.

Chi deve curare i Sé insicuri e feriti di quegli adulti che hanno avuto madri (e padri) insufficientemente buoni, quando non addirittura cattivi? Mi chiedevo perplessa.

Lo psicoterapeuta può alla fine svolgere questa funzione? C’era chi diceva sì e c’era chi diceva assolutamente no!

Non siamo SOLO degli ex bambini, mi disse una volta un mio Super Supervisore. E io ci rimasi leggermente male, come se da un cesto sospeso nel vuoto venissero fatti cadere un mucchietto di neonati, portati via dal vento, spariti, tristemente, e io non potessi farci niente. Cosa siamo allora se non degli ex bambini …degli ex adolescenti e poi degli ex adulti quando diventiamo vecchi…Lui aveva sicuramente detto non siamo SOLO degli ex bambini, me lo ricordo bene, ma io non sapevo cosa immaginare di diverso, di nuovo. Ma la farfalla è SOLO un ex bruco o no?

Da terapeuta ho continuato a dibattermi tra questi dubbi, alternando maternalismo a maieutica. <<Solo tu sai chi sei e cosa vuoi. Io, terapeuta, non posso dire a te come essere felice>> (felice è da intendersi libero da dolori che appaiono alla coscienza insensati e permanenti). <<Ti faccio vedere io, terapeuta, com’è essere tenuto, accolto, rispettato così che tu possa sperimentare per la prima volta un buon accudimento>>

La terapia prometteva di apprendere cosa fosse soddisfare i bisogni antichi inespressi, chiudere delle gestalt aperte, come dicono i gestaltisti, riparare vecchie ferite, come se si viaggiasse nel tempo per tornare indietro…

La risposta a tutte le mie domande è venuta piano piano grazie alla psicoterapia gestaltica in gruppo. È stato lì che ho percepito nitidamente la trasformazione. Il mio genitore interno negativo si riduceva sempre più mentre il mio genitore positivo trovava forma e accoglienza. Ho cominciato a percepire le mie braccia come morbide e forti, il mio ventre caldo e potente, il mio cuore ospitale. Chi mi sceglieva per interpretare il ruolo di genitore positivo credendo di trovare in me la cura per le sue profonde ferite, non sapeva che regalo mi stesse facendo, che opportunità mi stesse dando. Interpretando il ruolo di una “madre” positiva ho imparato che accogliere persone in lacrime, che in quel momento erano tornate bambine, asciugare le loro lacrime, consolarle e amarle come figli miei (o parti piccole di me), mi trasformava. Da inetta, vulnerabile, ostile, insufficiente, bisognosa, ecc. ecc. mi incarnavo in un essere forte e sinceramente affettuoso che altro non doveva fare che sentire profonda compassione per chi si rifugiava nelle sue braccia. E questa compassione generava una durevole metamorfosi…

È stato grazie a Janina Fisher, alcuni anni dopo, che ho compreso il potere auto curativo di quanto avevo vissuto nei miei gruppi di gestalt therapy: avevo sperimentato il mio Sé della vita di oggi. Quando venivo chiamata a fare il genitore buono prendevo coscienza dal di dentro del fatto che ne ero capace, che io ero realmente così. Piuttosto che riconoscermi solo nelle mie angosce e nelle mie debolezze, potevo vedere me stessa nella mia forza e nella mia positività.  Quella ero IO, il Sé della vita di oggi, quella adulta. Mentre quando mi sentivo ferita, vulnerabile, sofferente e inetta, quella non ero io, ma una parte piccola di me. Questo avrebbe detto la Fisher e questo avrei compreso meglio qualche anno più tardi studiando il suo manuale. Nei gruppi mi percepivo capace e positiva e prendevo sicurezza in me stessa, infatti, ero molto richiesta, ed era una sensazione bellissima mai provata.

Nel suo libro Janina Fisher dice che tutti, ma proprio tutti, hanno queste competenze, anche se non ne sono consapevoli. Lei però, essendone fortemente convinta, non fa che cercarle e riportarle alla coscienza dei suoi clienti.

Il terapeuta aiuta il cliente a riattivare il Sé della vita di oggi attraverso varie tecniche: il contatto con il proprio respiro, il mettersi seduti con la schiena eretta, il percepire le reali dimensioni del corpo, la barba sul volto se uomo, il seno se donna, per esempio, la robustezza della muscolatura o la grandezza delle mani; l’invitare il cliente a ritornare con la memoria a quando si è preso cura di un gattino abbandonato, oppure ha protetto un fratello minore, o ha accolto un amico disperato.

All’inizio il cliente può fare una certa resistenza ad ammettere di essere adulto e autonomo, anzi di essere addirittura in grado di offrire il suo aiuto ad altri. I clienti arrivano in terapia completamente identificati nel loro problema e fusi nelle loro ferite. Chiedono al terapeuta di essere curati in qualsiasi modo. Come dei bambini smarriti allungano le loro braccia verso colui che dovrebbe salvarli. Il terapeuta invece detiene quella fiducia incrollabile sulle abilità del cliente: “mai mi prenderei realmente cura di un uomo adulto, o di una donna adulta come lei. Non voglio rafforzarle l’idea che ha di sé stesso, cioè di essere ancora inerme e piccolo. Io so che ho davanti una persona grande e grossa capace di badare a sé stessa e agli altri”.

Riconoscere e indossare finalmente gli abiti del Sé della vita di oggi è il primo passo nella Terapia e per la rigenitorializzazione…adesso so come si fa.




Questo sito pubblica articoli e notizie su temi psicologici di interesse comune, basta scorrere in basso per leggerli in ordine cronologico. Si scrive di FAMIGLIA (coppia, genitorialità, mediazione e affidamento), DISTURBI (ansia, attacchi di panico, depressione, ecc.), QUALITA' DELLA VITA (autostima, assertività, gestione dei conflitti, ecc.).
Per avere notizie su di me e sul mio modo di concepire e praticare la psicoterapia è sufficiente cliccare su "informazioni generali". Buona navigazione.

Designed by SWM - Realizzazione siti web