giovedì 24 novembre 2022

 

N. 8 il Sé della vita di Oggi in terapia.

Per svariati anni sono stata una cliente, o una paziente come dicono la maggior parte dei miei colleghi psicoterapeuti. Andavo in terapia riponendo molte speranze. Arrivavo con un bagaglio di cose da dire su cui avrei dovuto “lavorare”. Anche se studiavo psicologia, e quindi avrei dovuto sapere che non era così, immaginavo che il mio psicoterapeuta fosse depositario di qualche verità. Lui o lei, a seconda del momento, mi avrebbe guidato fuori dai miei problemi e credevo si sarebbe impegnato moltissimo per sopperire a tutte le mie mancanze attuali e passate, per compensarle e per rendermi idonea alla vita al pari delle persone che conoscevo. Mi accusavo di essere un osso duro, o “di coccio”, come dicono a Roma, la città in cui vivo. Eppure, tutti gli sforzi di quei poveri psicologi non bastavano a cambiarmi.

A volte leggevo nei miei libri di studio che lo psicologo non può sostituirsi ai genitori che furono e che il cliente stesso, non essendo più un bambino, avrebbe dovuto fare tutto il lavoro da Sé. Questa notizia mi avviliva. A volte sentivo parlare di RIGENITORIALIZZAZIONE e allora mi entusiasmavo: Il Genitore interno negativo (Persecutorio o Iperprotettivo, come si dice in Analisi Transazionale), doveva cedere il posto ad un Genitore interno positivo (Normativo e Affettivo). Ma non capivo come si realizzasse tutto ciò, cosa avrei dovuto fare come cliente o come terapeuta.



Avevo ben presente come fosse una madre affettiva e normativa allo stesso tempo, però come trasformare il genitore interno da negativo a positivo restava un mistero.

<<Ha un Super Io persecutorio, rigido…>> mi sembrava di sentire gli psicoanalisti commentare sullo stesso argomento…Winnicott invece mi carezzava l’anima con l’evocazione della madre “sufficientemente” buona che attraverso i suoi piccoli fallimenti e le sue tante riuscite poteva rafforzare il Sé del suo bimbo, e vederlo crescere sereno e sicuro, capace di tollerare le normali frustrazioni della vita.

Chi deve curare i Sé insicuri e feriti di quegli adulti che hanno avuto madri (e padri) insufficientemente buoni, quando non addirittura cattivi? Mi chiedevo perplessa.

Lo psicoterapeuta può alla fine svolgere questa funzione? C’era chi diceva sì e c’era chi diceva assolutamente no!

Non siamo SOLO degli ex bambini, mi disse una volta un mio Super Supervisore. E io ci rimasi leggermente male, come se da un cesto sospeso nel vuoto venissero fatti cadere un mucchietto di neonati, portati via dal vento, spariti, tristemente, e io non potessi farci niente. Cosa siamo allora se non degli ex bambini …degli ex adolescenti e poi degli ex adulti quando diventiamo vecchi…Lui aveva sicuramente detto non siamo SOLO degli ex bambini, me lo ricordo bene, ma io non sapevo cosa immaginare di diverso, di nuovo. Ma la farfalla è SOLO un ex bruco o no?

Da terapeuta ho continuato a dibattermi tra questi dubbi, alternando maternalismo a maieutica. <<Solo tu sai chi sei e cosa vuoi. Io, terapeuta, non posso dire a te come essere felice>> (felice è da intendersi libero da dolori che appaiono alla coscienza insensati e permanenti). <<Ti faccio vedere io, terapeuta, com’è essere tenuto, accolto, rispettato così che tu possa sperimentare per la prima volta un buon accudimento>>

La terapia prometteva di apprendere cosa fosse soddisfare i bisogni antichi inespressi, chiudere delle gestalt aperte, come dicono i gestaltisti, riparare vecchie ferite, come se si viaggiasse nel tempo per tornare indietro…

La risposta a tutte le mie domande è venuta piano piano grazie alla psicoterapia gestaltica in gruppo. È stato lì che ho percepito nitidamente la trasformazione. Il mio genitore interno negativo si riduceva sempre più mentre il mio genitore positivo trovava forma e accoglienza. Ho cominciato a percepire le mie braccia come morbide e forti, il mio ventre caldo e potente, il mio cuore ospitale. Chi mi sceglieva per interpretare il ruolo di genitore positivo credendo di trovare in me la cura per le sue profonde ferite, non sapeva che regalo mi stesse facendo, che opportunità mi stesse dando. Interpretando il ruolo di una “madre” positiva ho imparato che accogliere persone in lacrime, che in quel momento erano tornate bambine, asciugare le loro lacrime, consolarle e amarle come figli miei (o parti piccole di me), mi trasformava. Da inetta, vulnerabile, ostile, insufficiente, bisognosa, ecc. ecc. mi incarnavo in un essere forte e sinceramente affettuoso che altro non doveva fare che sentire profonda compassione per chi si rifugiava nelle sue braccia. E questa compassione generava una durevole metamorfosi…

È stato grazie a Janina Fisher, alcuni anni dopo, che ho compreso il potere auto curativo di quanto avevo vissuto nei miei gruppi di gestalt therapy: avevo sperimentato il mio Sé della vita di oggi. Quando venivo chiamata a fare il genitore buono prendevo coscienza dal di dentro del fatto che ne ero capace, che io ero realmente così. Piuttosto che riconoscermi solo nelle mie angosce e nelle mie debolezze, potevo vedere me stessa nella mia forza e nella mia positività.  Quella ero IO, il Sé della vita di oggi, quella adulta. Mentre quando mi sentivo ferita, vulnerabile, sofferente e inetta, quella non ero io, ma una parte piccola di me. Questo avrebbe detto la Fisher e questo avrei compreso meglio qualche anno più tardi studiando il suo manuale. Nei gruppi mi percepivo capace e positiva e prendevo sicurezza in me stessa, infatti, ero molto richiesta, ed era una sensazione bellissima mai provata.

Nel suo libro Janina Fisher dice che tutti, ma proprio tutti, hanno queste competenze, anche se non ne sono consapevoli. Lei però, essendone fortemente convinta, non fa che cercarle e riportarle alla coscienza dei suoi clienti.

Il terapeuta aiuta il cliente a riattivare il Sé della vita di oggi attraverso varie tecniche: il contatto con il proprio respiro, il mettersi seduti con la schiena eretta, il percepire le reali dimensioni del corpo, la barba sul volto se uomo, il seno se donna, per esempio, la robustezza della muscolatura o la grandezza delle mani; l’invitare il cliente a ritornare con la memoria a quando si è preso cura di un gattino abbandonato, oppure ha protetto un fratello minore, o ha accolto un amico disperato.

All’inizio il cliente può fare una certa resistenza ad ammettere di essere adulto e autonomo, anzi di essere addirittura in grado di offrire il suo aiuto ad altri. I clienti arrivano in terapia completamente identificati nel loro problema e fusi nelle loro ferite. Chiedono al terapeuta di essere curati in qualsiasi modo. Come dei bambini smarriti allungano le loro braccia verso colui che dovrebbe salvarli. Il terapeuta invece detiene quella fiducia incrollabile sulle abilità del cliente: “mai mi prenderei realmente cura di un uomo adulto, o di una donna adulta come lei. Non voglio rafforzarle l’idea che ha di sé stesso, cioè di essere ancora inerme e piccolo. Io so che ho davanti una persona grande e grossa capace di badare a sé stessa e agli altri”.

Riconoscere e indossare finalmente gli abiti del Sé della vita di oggi è il primo passo nella Terapia e per la rigenitorializzazione…adesso so come si fa.

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