venerdì 17 febbraio 2023

 

N.11 (parte prima)



                                             Opera di Gabriella Freuli


Ma cosa è un Trauma? Il trauma viene definito come “qualsiasi cosa accada a una persona che venga percepita come “troppo e troppo in fretta”, “troppo e per troppo tempo”, o “non abbastanza per troppo tempo”. (“Esercizi Polivagali per la sicurezza e la connessione” - Deb Dana del 2020 – che cita a sua volta un testo del 2014 di Duros e Crowley).

Negli articoli precedenti ho descritto cosa avviene nel sistema nervoso in risposta ad un evento traumatico: 1) La dissociazione dal ricordo del trauma produce una frammentazione della personalità in diverse parti.

2)le parti rimangono cristallizzate, uguali a loro stesse, senza la possibilità di evolvere nel tempo, e hanno l’età psicologica della persona al momento del trauma.

3) Il Sé della vita di Oggi è ciò che della Personalità cresce e diventa adulto, permettendo il massimo adattamento all’ambiente esterno, malgrado i traumi subiti.

Per far conoscere le parti vorrei descrivere alcuni modi di fare delle persone adulte, che assomigliano al comportamento dei bambini e degli animali. Sono modi di fare istintivi, comuni a molti di noi, in cui le varianti individuali sono solo superficiali.

Nel corso della crescita alcuni di questi comportamenti vengono abbandonati e sostituiti da atteggiamenti più moderati, riflessivi, creativi.

Queste “parti” piccole, all’interno della personalità che le accoglie e di cui si compone, agiscono con comportamenti di difesa elementari, semplici e primitivi, che ricordano appunto il mondo animale.

La loro funzione è difendersi dal trauma.

a)     La parte attaccamento si difende in due modi diversi:

1)     se è in presenza della persona amata, è aggrappata ad essa, fisicamente o mentalmente. Non può tollerare distrazioni. Se l’altro è impegnato in qualcosa, si sente trascurata e cerca di riassorbire tutta l’attenzione su di Sé. È spaventata dall’idea di essere abbandonata e si sente tranquilla solo se ha il pieno controllo sull’altro. È estremamente sensibile e capta anche i più piccoli segnali di allontanamento. Si offende facilmente e interpreta ogni minima mancanza dell’altro come una violenza e un tradimento. In questo modo la parte attaccamento sembra raccontare di aver già vissuto un tradimento o un abbandono; quindi, non sta raccontando di essere stata semplicemente lasciata o rifiutata o ingannata, ma di essere stata abbandonata in tenerissima età, di essere stata ferita nel profondo di un’anima ancora in formazione ed in uno stato di totale dipendenza. Racconta in questo modo di vivere nel terrore di essere nuovamente abbandonata e di voler fare tutto il possibile per evitarlo. Qualcuno di noi si è sentito così e sa di cosa parlo, qualcun altro sta immaginando una persona che conosce o con cui ha avuto una relazione. Chi è fuso in questa parte attaccamento può controllare il cellulare dell’altro o i suoi profili social, può limitarne la libertà d’azione con una gelosia eccessiva. Può pretendere un rapporto esclusivo e simbiotico.

 

2)     Se è sola, la parte attaccamento si esprime con un grido d’aiuto. Si sente incapace di vivere e di provvedere autonomamente a sé stessa, ha paura di tutto, ma principalmente si sente disperata e in pericolo di vita. Per queste ragioni la parte attaccamento fa richieste strazianti di aiuto, piange a dirotto e trema. Le persone che sono fuse nella parte attaccamento quando sono sole dicono di sentire un’angoscia lancinante nel petto che fa passare loro la voglia di vivere e non fa desiderare altro che di ricongiungersi con l’altro perduto, a qualunque costo. Chi si è sentito così sa di essere stato disposto a tutto pur di non perdere la persona che ama o da cui si sente amato. Anche queste emozioni raccontano qualcosa che è già accaduto in un’epoca della vita in cui realisticamente l’essere lascito solo ha innescato il terrore e tutta una serie di azioni rivolte a suscitare in altri l’impulso ad accorrere in soccorso.

 

b)     La parte sottomissione si difende obbedendo a richieste esplicite e dirette, ma anche a richieste non formulate in modo chiaro. Anticipa i bisogni dell’altro, si sacrifica, si fa carico di tutto. In fondo in fondo nutre un sottile senso di colpa che la spinge a sacrificarsi per espiare e ritornare degna d’amore. In questo modo si assicura la vicinanza delle persone care. Si addossa la responsabilità di tutto e quando riceve una critica è persuasa di essersela meritata. La parte sottomissione racconta la storia di un trauma in cui, pur essendo stata vittima di maltrattamenti da parte delle persone che l’avrebbero dovuta proteggere, non può concepire che esse siano cattive e pericolose, perché non avrebbe più nessuno a cui ricorrere. Per un adulto autosufficiente fuggire via da chi lo perseguita può rappresentare la salvezza. Ma la parte sottomissione racconta una storia avvenuta nell’infanzia e un bambino non può scappare. Per questo motivo la parte sottomissione si convince di essere stata vittima di qualcosa che si è meritato, che se fosse stata più attenta e sottomessa non sarebbe accaduta. Le persone care che la puniscono con umiliazioni, con percosse o trascurandola, non sono cattive, ma è lei a provocare in loro quei comportamenti. È lei l’unica colpevole, mentre gli altri sono bravi e buoni. Chi non ha mai visto un cucciolo di cane con le orecchie basse e la coda tra le gambe, guaire ai piedi del suo padrone dopo essere stato sgridato o malmenato. Sembra chiedere perdono. Qualcuno invece ricorda di essersi sentito in colpa dopo aver ricevuto una sfuriata inattesa, anche senza sapere che cosa avesse fatto di male. Oppure ha temuto di essere giudicato negativamente solo per aver espresso un proprio pensiero o un sentimento. Queste sensazioni raccontano di esperienze vissute e forse dimenticate con il cervello sinistro, che restano impresse sottoforma di sensazioni corporee ed emozioni nel sistema nervoso autonomo o sottoforma di immagini ed emozioni nel cervello destro.

 

giovedì 26 gennaio 2023

 

n.10   uno nessuno centomila 


Emil Nolde, Maschere (1911)


A volte ci piacciamo molto, quando ci sentiamo calmi, per esempio e abbiamo buone capacità di ascolto, quando siamo brillanti nella conversazione o siamo concentrati su quello che facciamo, quando ci sentiamo creativi, pieni di inventiva e con una buona sicurezza in noi stessi. Vorremmo descriverci così a quelli che non ci hanno ancora conosciuto. Ci piacerebbe dare questa bella immagine di noi stessi. Ma facendo un rapido inventario delle diverse situazioni in cui ci siamo trovati, volendo essere completamente onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere che in certe occasioni siamo stati veramente un disastro! A volte siamo così infuriati da non sapere neanche cosa stiamo blaterando e subito dopo possiamo pentircene amaramente. Una mia amica è nota a tutti per la sua gentilezza. Un modello di garbo e di altruismo. Eppure, in certe situazioni le ho visto perdere il controllo ed esprimersi come uno scaricatore di porto, diceva mia nonna. Riparlandone con lei, mi confidava di non essere per niente soddisfatta di aver avuto quella reazione, e che a freddo avrebbe manifestato la propria rabbia ed espresso le proprie ragioni in tutt’altro modo.

Sono sicura che tutti avremmo aneddoti di questo genere da raccontare: “a casa ho il magone, sono scontrosa e irascibile. Non una buona parola per nessuno. Appena fuori dal portone di casa incontro i vicini e li saluto con il mio più sfavillante sorriso. Sono nota per essere una persona veramente cordiale, rassicurante, sempre allegra…” Mi raccontava un’altra amica. “Sono un’ipocrita? No, non mi sento tale. Ma la verità è che in casa sono una persona e fuori di casa sono un’altra. Senza che io lo voglia!” La spiegazione è semplice e sorprendente: uno solo di noi è il Sé adulto, gli altri potrebbero essere le nostre parti piccole.

Nei precedenti articoli ho spiegato come i traumi infantili generano la frammentazione della personalità in parti “piccole”. Queste parti che restano incastrate dentro di noi, prendono il sopravvento in certe situazioni scatenanti. Insieme a loro c’è una parte che cresce e va avanti con la vita normale: il sé della vita di oggi. In seguito, descriverò le parti piccole secondo la teoria proposta da Janina Fisher, che si ispira a sua volta al modello degli Internal family sistem.

Se vogliamo attribuire un’emozione con i corrispondenti comportamenti e pensieri ad una “parte piccola di noi” che si è attivata e ha reagito in un certo modo al posto nostro, dobbiamo imparare a riconoscerla. Le parti sono cosiddette “piccole” sia perché appartengono ad un intero più grande, sia perché hanno la personalità che avevamo noi al momento del trauma, in molto casi quindi quando eravamo piccoli. Mentre il Sé della vita di oggi è in grado di pensare e sentire nello stesso momento, di provare emozioni moderate, che rientrano nella cosiddetta finestra di tolleranza e consentono alla persona di regolarle, le parti piccole sono rigide, hanno dei comportamenti stereotipati ed eccessivi tanto sul versante dell’iperattività che sul versante del blocco e della passività. Gli psicologi la chiamano “disregolazione emotiva” e la descrivono con un grafico in cui i picchi in basso e in alto escono dalle linee superiori e da quelle inferiori invece di restarne all’ interno.



Le parti piccole si comportano come bambini oppure come i nostri parenti animali, perché reagiscono prevalentemente con quelle parte del sistema nervoso, il cervello rettiliano o mammaliano, predominanti nell’infanzia.

Infatti, quando nasciamo siamo più simili ad una bestiolina che ad un essere umano come siamo abituati a prefigurarcelo. Questo paragone non declassa il nostro valore, ma a mio avviso lo rispetta, perché gli attribuisce naturalità, istinti ed emotività che nella nostra razionalità corticale vengono meno.

Alla nascita, benché con requisiti squisitamente umani, dobbiamo tuttavia fare i conti con lo scarso sviluppo del nostro sistema nervoso, che verrà portato a completo compimento nei 20 anni a venire.

Ecco che lo studio dell’etologia ci viene in aiuto per comprendere il senso delle nostre prime esperienze, di quando eravamo piccolissimi, elaborate attraverso un sistema nervoso immaturo e incompiuto, in cui l’anima rettile imperava, il sistema mammaliano si imponeva progressivamente e la corteccia cerebrale si sviluppava con molta calma, anche se a velocità smisurata considerando la lunghezza del tragitto che aveva da compiere. Altre volte, invece, l’etologia ci può far comprendere anche i comportamenti delle persone adulte: quando sono ispirati da modalità infantili (nonché animali).

Siamo come matriosche in cui solo la più esterna ha l’età anagrafica. Le altre al suo interno sono molto più giovani.

Le parti, quindi, possono essere rappresentate come dei bambini o come degli animaletti, cuccioli o adulti di rettile o di mammifero a seconda delle situazioni. Nella personalità frammentata queste parti piccole sono connesse al momento del trauma e si esprimono in un modo che ne è evidentemente influenzato.

La mia amica cortese, quando si scatena una parte adolescente infuriata, si esprime in modo greve e violento, ma può essere paragonata anche ad un gatto che soffia, con il pelo irto e le unghie di fuori. L’altra amica è una bambina sottomessa e infelice in casa, come un cane impaurito, ma fuori ritorna la donna spensierata che va incontro al mondo.

La Fisher menziona 5 parti piccole:

·        la parte Attaccamento

·        la parte Sottomissione

·        la parte Freezing

·        la parte Fuga

·        la parte Attacco

Le prime 3 sono “connesse” al trauma, cioè sono memorie emozionali con tutto un correlato neurofisiologico (battito cardiaco, respirazione, tensione muscolare ecc.) provocato dal trauma. Le ultime due sono parti che difendono le altre e si sviluppano più tardi.

martedì 13 dicembre 2022

 

 N. 9

Incontrare Il Sé che va avanti con la vita normale e le parti piccole del mio cliente.

 




Quando lavoro con i miei clienti e mi raccontano di certi stati d’animo o certi pensieri, mi capita di volgere il mio sguardo in basso sul tappeto. Lo faccio quasi senza rendermene conto…la mia immaginazione spontaneamente, si rivolge a bambini e ragazzini che vedo in atteggiamento sofferente o di difesa: chi accovacciato per terra, chi in cerca di una via di fuga, chi visibilmente scocciato e ostile.

Immagino al fianco del mio cliente adulto i bambini che è stato tanti anni fa, quelli che sono rimasti incagliati nel momento del trauma, bloccati nel loro terrore o nella vergogna bruciante oppure nel tentativo rabbioso di difendersi. Sono loro i bambini che Janina Fisher chiama “parti piccole”. Io assecondo la mia spontanea immaginazione che me li fa vedere proprio davanti a me e stimolo il cliente a fare altrettanto, di usare la sua immaginazione perché questa è un processo fisiologico che coinvolge e attiva molte aree del sistema nervoso. Immagino le parti piccole e creo un contatto empatico con loro nella speranza che così facendo il mio sistema nervoso si connetta con le aree del sistema nervoso del mio cliente che corrispondono a quelle parti piccole, cioè alle sue memorie traumatiche.

Nel parlare, mi rivolgo a loro piuttosto che al cliente adulto seduto difronte a me. Le parti piccole sono sedute in terra, oppure rannicchiate sul divano, o davanti alla porta dello studio pronte a scappare in caso di pericolo. Il loro aspetto dipende dalle storie di vita dei miei clienti, da ciò che loro esprimono con lo sguardo agghiacciato, oppure rabbioso, o timidamente rivolto verso il tappeto. “Lei è una persona adulta e certamente sarà in grado di affrontare la situazione, nello stesso tempo, percepisco una sua parte piccola, che parla attraverso attraverso la sua voce, che è in serie difficoltà”, dico. Allora la cerco nella stanza e mi rivolgo direttamente a lei, con delicatezza e rispetto, come sempre ho voluto fare con i bambini che ho incontrato nella mia vita da adulta.

All’inizio esprimo una mia sensazione: “quello così spaventato secondo me non è lei, ma una sua parte piccola”. Oppure: “vedo che è così arrabbiato, ma secondo me non è davvero lei che si sta arrabbiando in questo modo ma una parte piccola di lei”. Chiedo di attribuire un’età a quella parte…mentre il mio cliente tenta di capire quanti anni abbia, la visualizza nella sua testa, vi entra in contatto e questo fa accadere delle cose che non sono sotto il controllo della razionalità, ma sgorgano dall’inconscio. Si attualizzano delle memorie sotto forma di emozioni e di immagini che riguardano il contesto esterno in cui gli eventi passati sono accaduti… perché questo processo si attui e prenda forma devo aver instaurato un rapporto di fiducia con il cliente.

Prima di iniziare a fare questo lavoro è necessario che io speghi come funziona la terapia centrata sulle parti e cosa ci auguriamo. Quando spiego, il cliente sembra dimenticare il motivo per cui è venuto. Se è arrivato da me depresso o ansioso, per esempio, nell'ascoltare si calma, mi guarda con interesse, la fronte leggermente aggrottata nell'impegno di capire. Questa postura mi comunica che la persona è nel Sé che è andato avanti con la vita normale, che la corteccia prefrontale mediale è attiva, che le emozioni sono placate e il pensiero è lucido.

Quando individuo il Sé che va avanti con la vita normale, lo presento al mio cliente: “Ecco questo è lei!” Mi piace riconoscerlo nel suo pieno potere, capace e adeguato, soddisfatto di quello che fa. “questo è lei! Vede? È in grado di pensare, di decidere, di lasciarsi andare, di portare avanti un progetto, di prendersi cura di qualcuno, ecc. ecc.”

Non è facile distinguere il Sé che va avanti con la vita normale dalle parti.

Ma perché le parti sono così invadenti? Cosa succede? Il sé adulto si fonde e si confonde con la parte. C’è una vera e propria identificazione. Una volta una persona a me cara che era stata appena lasciata dalla moglie mi disse: “Lei è una bambina!”. Io, che ne conoscevo l’età continuavo a ripete “ma che dici? È una persona adulta!”. Avevamo entrambe ragione.

Come avviene questa fusione. E come separare il Sé dalla parte?

Durante le sedute mi capita di percepire i contorni della persona adulta e di conoscerla per quella che è. È bello poterla incontrare, constatarne l’esistenza e vederla nelle sue vere sembianze. Alcuni sono frequentemente nel Sé adulto. Altri quasi mai. I primi ci mettono poco a riconoscersi nel Sé di oggi. Li invito a stare nella loro pelle, a respirare, ad allungare la colonna, a sentire la calma che avvertono e la stabilità. Allora sento che è possibile fare il passo successivo: incontrare le parti piccole.

Il lavoro più complesso e difficile è quando la persona sperimenta la sua vita fusa nelle parti, perché io non riesco a distinguere il suo Sé adulto, ma vedo solo la parte piccola. Potrebbe essere pressappoco come incontrare qualcuno per la prima volta in mezzo alla nebbia, oppure provare a metterne a fuoco il volto senza gli occhiali. Ci può volere molto tempo prima che io riesca a dare delle fattezze al Sé che va avanti nella vita di oggi. Quando accade è una grande emozione. Può succedere quando meno me lo aspetto: il cliente mi racconta, senza farci caso, degli episodi in cui il suo comportamento è stato efficace e adeguato: invece di perdere la calma, si è rivolto al figlio disperato per consolarlo; ha risolto un problema all’amico in difficoltà; ha affrontato con assertività il superiore che stava commettendo un abuso.

È la stessa persona che per giorni ha mostrato solo le sue insicurezze e ha detto di sentirsi incapace a fare tutto. Attraverso il suo racconto ha confermato ciò che Janina sostiene nel manuale: tutti abbiamo un Sé della vita che va avanti. Basta solo cercarlo.

Una volta riconosciuto il Sé della vita di Oggi, è tempo di fargli incontrare le parti piccole.  Di loro vi parlerò nel prossimo articolo.

 

 

 

 

 




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